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martedì 9 giugno 2009

Crescere

Sta notte sono diventato adulto, i miei sogni di bambino sono svaniti in un lampo, anzi meglio in un flash d’agenzia.
Non piango l’addio di una grande persona e di quel che forse è il migliore giocatore degli ultimi 10 anni, piango la fine di una favola, la favola del Milan.
Ho 33 anni e nell’età in cui si sogna, in cui si crede che da grande si salverà il mondo con un robot, in cui ti formi nelle tue convinzioni ed ideali, ho iniziato a sognare di essere un tifoso diverso, uno di quelli fortunati, uno di quelli dove la propria squadra si ama a prescindere dalle vittorie, per i valori, per le storie per l’ambiente che la circonda.
Sono cresciuto con il racconto di Franco Baresi che rifiutava la Juventus, non la Juventus di Moggi o peggio quella ridicola di oggi, ma la JUVENTUS, quella che vinceva a raffica in Italia e qualcosa pure in Europa, per restare nel suo Milan in serie b. Il suo Milan che l’accolse orfano nelle giovanili e gli fece da famiglia.
Sono cresciuto con un Milan che tifavo anche in b, con l’orgoglio dei miei colori, si signori io della Cavese non mi vergogno. Della finale dei mondiali del 82 mi ricordo solo mio zio, interista, che mi chiedeva a me bimbo di 6 anni perché tifassi Milan in B e non il Varese che era in A… e io che gli rispondevo perché il Milan è il Milan.
Sono cresciuto guardando tutta la carriera di Paolo Maldini da quando aveva 16 anni all’infamia del suo addio a San Siro.
Sono cresciuto ammirando una società che pagava Marco Van Basten rotto per 2 anni e lo pagava perché era un pezzo di Milan, una parte di noi. Sono cresciuto con una società che rinnovava i contratti a Inzaghi e Ambro quando tutti dicevano che avevano finito la carriera o che erano giocatori che si rompevano ogni due per tre.
Ancora mi ricordo quel Real – Milan 1-1 visto in ospedale immobile su un letto perché avevo un braccio in trazione, o quel National – Milan con il gol di Bubu (si perché x noi “vecchi” è Bubu e non Chicco) al 118esimo su punizione ed io che avevo la febbre a 40.
Ho passato 8 anni abbonato a San Siro godendomi il Milan di Sacchi, quel Milan che ha cambiato il calcio, quel Milan che dominava come gioco ma vinceva poco in Italia, e il Milan di capello, quel Milan che non ho mai veramente amato, perché Sacchi mi cambiò per sempre, fece di me un esteta per il quale è più importante vedere la squadra giocare bene che vederla vincere.
Ho amato quel Milan, che quando Giovanni Galli arrivava da avversario, era ricoperto da minuti e minuti di cori e gesti di amore nei suoi confronti.
Ho visto il Milan di Zac e ho visto quella corsa mano nella mano di Weah e Boban sotto la curva a Torino, e credo che sia il ricordo più bello calcisticamente parlando che ho, perché racchiudeva tutto, racchiudeva la vittoria ma soprattutto l’amicizia e l’amore, racchiudevano i valori che credevo che la mia squadra avesse al contrario di tutto il mondo calcistico.
Ho pianto quando Van Basten e Baresi hanno lasciato il calcio, mi sono sentito il magone e ho pianto a dicembre vedendo Borgonovo ridotto in quel modo.
Mi sono sempre sentito migliore, diverso rispetto agli altri tifosi, perché ero milanista, perché il Milan non era solo calcio ma anche valori. Era la società che non abbandonava i propri eroi, era la società che dava gli addi al calcio di Baresi, di Boban, di Savicevic di Massaro di Van Basten di Tassotti di Ancelotti. Ho odiato Capello perché fece “esiliare” Gullit ed Evani che sentivo pezzi del Mito.
Ho amato quell milan che riprende Ba in difficoltà e tessera uno sguattero come Esajas.
Certo ci sono stati gli anni bui del 10 e 11 posto ma ho sempre amato il Milan, c’è stata l’infamia a sfondo politico di Calciopoli con giornali come la Repubblica che si inventavano intercettazioni per colpire il Berlusconi politico e invece facevano male ai poveri cristi come me.
Ho amato il Milan il giorno della finale di Istambul, si quella del 3-3 perché nella vita si può anche perdere.
Ho odiato e odio Sheva perché ha preferito per il vile denaro non entrare nel mito, ci ha lasciato dopo tutto quel che il Milan, la società e noi tifosi abbiamo fatto per lui, non ultimo se suo padre è vivo lo deve al fatto che in quel periodo giocava nel Milan. E ho trovato patetico rivederlo quest’anno con quella maglia.
E ieri questo Milan è morto, ora siamo una squadra come tutte le altre siamo una qualunque inter o una qualunque Juventus ed è questo che mi fa male. E’ morto quel mito. Da domani continuerò ad amare quei colori, mi affezionerò ancora a giocatori come Kakà, Donadoni o Van Basten, ma dentro di me saprò che la favola è finita. Vinceremo ancora, ma nulla sarà più come prima.
E chiudo augurando a Kakà di rivincere il pallone d’oro perché si merita ogni sorte di bene. Hasta luego Ricky, se mai ci sarà un Milan – Real sarò allo stadio solo per salutare te.


Per far crescere un bambino ci vuole un intero villaggio.
(Proverbio africano)

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Bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finirà per pensare a come si è vissuto. (Paul Bourget)