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domenica 26 ottobre 2008

Il viaggio della Paura

Un altro brano di "Che fine ha fatto Mr Y?"

Non mi piace questo paesaggio. Non mi piace affatto. La sciropposa sensazione che provo nella Troposfera è scomparsa, e adesso mi sento non soltanto infreddolita e stanca, ma del tutto svuotata, come se fossi soltanto pelle. Il treno accelera ancora, e io non posso fare a meno di guardare fuori del finestrino. È come quando usi Internet per scoprire se i tuoi sintomi corrispondono a qualche malattia terminale: sai che e così, sai che non dovresti guardare, ma lo fai. Vedo solo un grande campo. Ma non è un terreno verde che fa sperare in un raccolto: è soltanto fango. E sul fango, ci sono delle case che bruciano. Avverto qualcosa di simile all'impressione che ho guardando il notiziario TV, quel senso iperreale che le immagini in due dimensioni sullo schermo non siano vere, ma c'è una differenza. Quelli là fuori non sono vecchi edifici in fiamme mostrati dal telegiornale, ma tutte le case in cui ho vissuto. Dentro ci sono io, e non posso uscire; ci sono i miei genitori, e non possono uscire. So che mia sorella è già morta. Ma non basta. E' paura senza speranza: questa sono io mentre dormo nella mia fredda camera da letto nel Kent, indossando il pesante pigiama compratomi da mia madre quando trascorrevamo ancora il Natale insieme. Nell'immagine, in realtà non sto dormendo: il fumo dell'incendio mi ha già fatto perdere i sensi e ora, mentre guardo, la gamba del pigiama prende fuoco, e la pelle intorno alla caviglia comincia a sciogliersi. Non mi sveglierò più. Brucerò completamente e non saprò mai cosa è successo.
Dopo gli incendi arriva un'inondazione, acqua che sale sempre più su intorno alle stesse case - le mie case - fino a sommergerle completamente, e vedo morire la gente che si è rifugiata sui tetti e negli attici. Tutta la mia famiglia, tutte le persone che ho conosciuto. Da una parte, so che non m'importa troppo dei miei familiari (quando li ho visti l'ultima volta?), dall'altra, ora io sono lì con loro, in attesa di un aiuto che non arriva, accettando il momento in cui l'acqua diventa troppo alta e noi ci finiamo dentro. Non vi è nulla, oltre l'acqua; è nera e fredda, e puzza di morte. Io sono la prima a lasciarmi andare, a smettere di trattenere il respiro, a inghiottire il liquido scuro. Ecco, è finita. Tenebra. Il mio inutile corpo affonda là dove prima c'era la strada. E su questo treno della paura sto sudando, mentre il mio cuore batte così rapidamente che è come un unico, lungo battito, o forse nessun battito. L'aspetto peggiore di queste immagini è che non vi è altro. Non perché io non possa vedere al di là delle case e del fango, ma perché so con la più assoluta certezza che non c'è nulla là fuori, a parte ciò che vedo. Non c'è alcuna Ariel, qui, nessun treno. Morirò in quelle case, e non vi è un altro posto dove rifugiarmi. Non provo la sensazione che tutto ciò stia succedendo "dietro l'angolo" o alla TV, o che stia capitando a qualcun altro. Dev'essere così che ti senti quando apri la porta a un uomo con un occhio solo che brandisce una scure; quando non riesci a respingerlo (come potresti?) e ti ritrovi legato, e capisci che stai per morire. Quello che vedi non accade a un personaggio di fantasia; la tua esperienza è reale: sono io, è la mia fine. O peggio: sei come un personaggio di fantasia, ma non uno dei protagonisti. Sei solo una delle vittime lungo la strada.
Il treno continua ad avanzare sferragliando. I vicoli che normalmente non percorrerei mai dopo il crepuscolo sono tutti là, ora: un mondo di vie senza sbocco con stupratori che sorvegliano gli stretti e oscuri passaggi come i fantasmini di Pac Man. Vengo pugnalata mille volte da gente che non conosce il mio nome, che non sa quali libri preferisco leggere o che mi piacerebbe avere un gatto, se la mia vita fosse meno incasinata. Vedo me stessa morire dissanguata come un animale in un macello, mentre parti del mio corpo sono sparse all'intorno, recise e scartate. Prego perché mi sia concesso di perdere i sensi, ma invano. Oh, Gesù. Non posso più sopportare tutto questo. È come se stessi subendo un'operazione e i chirurghi non sapessero che sono sveglia. Sono coinvolta in un tamponamento a catena sull'autostrada. Vedo Adam morire in un milione di modi diversi. Poi sono io a ucciderlo in tutte le maniere possibili, e a uccidere anche tutti gli altri. Sono in prigione e non ne uscirò mai. Non ho alcuna scelta.

Non c'è speranza senza paura né paura senza speranza.
(Benedetto Spinoza)

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Bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finirà per pensare a come si è vissuto. (Paul Bourget)