Classificazione F.C.I.: Gruppo 1 - cani da pastore e bovari (escluso bovari svizzeri).
Razza utilizzata fin dall'antichità nella Maremma Toscana e in Abruzzo come guardiano dei greggi. La sua presenza in questi luoghi risale al tempo degli antichi romani. In seguito si è diffuso in tutto l’entroterra grazie alla transumanza delle greggi.
Origine e storia del pastore maremmano AbruzzeseLa funzione e l’ambiente sono le matrici prime ed uniche sia della morfologia che della “forma mentis” del cane da pecore dell’Abruzzo. L’inizio della selezione di questa razza è avvenuto migliaia di anni fa, quanto cioè l’uomo delle montagne abruzzesi ha cominciato ad allevare pecore ed ha capito che per proteggere i suoi tesori contro i predatori poteva avvalersi magnificamente della collaborazione di chi inizialmente era stato un predatore. I primi cenni storici certi in cui il Cane abruzzese viene descritto nell’attuale configurazione si hanno nel “De agricultura “ di Columella, del secondo secolo avanti Cristo. Il saggista latino consiglia i suoi conterranei a prendere esempio dai popoli Marsi, Equi, Peligni ,Frentani che invece degli uomini usano per la custodia delle greggi una razza di cani grossi, feroci, bianchi con lunghi peli irti e gli occhi come carboni. Essi, dice, non abbandonano mai le pecore anche di fronte all’assalto di lupi , orsi e ladri; sopportano la fame, la sete e il freddo e sono molto meno costosi e molto più fedeli degli schiavi che mangiano tanto, si ammalano facilmente , rubano e fuggono al primo sentore di pericolo. La selezione era già avvenuta. Ma le più antiche testimonianze dell’uomo pastore rinvenute in Abruzzo datano a parecchie migliaia di anni prima degli scritti di Columella. Il termine di riferimento nella formazione e nella valutazione di questa razza non è l’uomo o altra razza di cani, ma la pecora abruzzese e i suoi tradizionali predatori: il lupo e l’orso bruno marsicano.
Caratteristiche fisicheClassificazione scientifica: Cane appartenente al gruppo lupoide, Mesomorfo, Submesocefalo.
Classificazione utilitaria: Cane da gregge. - Il cane è un “pesante” mesomorfo.
L’altezza, nei maschi oscilla tra i cm 69 e 73, e il peso va dai 50 ai 55 kg.
Nelle femmine l'atezza oscilla tra i 63 e 67 e il peso di circa 40/45 kg con una tolleranza in ambedue i casi di un centimetro in più o in meno, quando il soggetto presenta notevole armonia d’insieme.
Il rapporto lunghezza-altezza deve essere tale che il cane risulti appena fuori del quadrato, non superiore a X+X/18, nè inferiore a X+X/20
Il torace ampio e il petto largo.
Le reni larghe, e larga deve essere la groppa e poco avvallata, di modo che la coda risulti inserita in alto, sbandierata quando il cane è in eccitazione. La linea dorsale deve essere parallela all’appoggio. Gli arti robusti, proporzionati, ben appiombati e giustamente angolat. Il collo non lungo e molto robusto. La testa, troncopiramidale, proporzionata al corpo, non sarà mai di lunghezza superiore ai 4/10 dell’altezza, né inferiore ai 3,5/10 di essa; l’indice cefalico totale espresso in percentuale oscilla tra 51,5 e 55 la lunghezza del muso è sempre abbondantemente inferiore alla lunghezza del cranio; l’angolo della depressione naso – frontale è molto aperto, mai inferiore a 120 gradi sessagesimali; Gli assi cranio facciali leggermente divergenti La dentatura molto robusta. Gli occhi a mandorla e le orecchie piccole e attaccate alte - Il pelo è lungo, irto e bianco candido; le mucose oculari e labiali sono nere; le unghie e le piante dei piedi scure, come scuri sono anche gli occhi. Il dimorfismo sessuale è notevole, sia fisicamente che nel comportamento. Caratteristica del maschio adulto è un ampio collare di pelo che a volte diventa criniera , coprendo tutto il torace. Nei maschi l’insieme è maestoso.
I concetti sono: assoluta mancanza di istinto predatorio e di ogni forma di aggressione nei confronti degli ovini, concetto che si perfeziona nell'istinto di protezione e di fratellanza nei loro riguardi. Per un allevatore di ovini, spesso fittavolo, le pecore rappresentano quasi sempre il suo unico capitale, attorno a cui ruota e da cui dipende la sua vita e quella dei suoi familiari. Ciò dà la dimensione del legame che esiste tra lui e i suoi animali, e il detto evangelico " Il pastore conosce una ad una le sue pecore ed esse lo conoscono" non è solo una metafora. Da qui l'estrema necessità di selezionare accuratamente tutto ciò che può venire a contatto con le proprie pecore, per evitare qualunque cosa possa rappresentare una minaccia a quanto garantisce la sopravvivenza della sua famiglia. Il cane deve essere di assoluta fiducia , deve essere tale da garantire le pecore da ogni pericolo e , come il pastore, deve conoscere le pecore una ad una e deve essere da esse conosciuto e riconosciuto come tutore . La garanzia dell'incolumità del gregge è data dalla razza pura; il cane deve essere bianco candido. All'arrivo di una cucciolata va messa ogni cura per individuare il più piccolo segno che faccia pensare anche lontanamente ad un meticciamento. Il verificarsi di questa possibilità comporta l'immediato allontanamento dei piccoli dal gregge, e nel duro mondo della pastorizia bocche inutili non si possono mantenere. "Hommene ruscie i cane pezzate s'hann'accite appena nate". Il perché gli uomini rossi verrà trattato in separata sede. Perché bianco? - Derivante forse dall'addomesticamento di selvatici dal pelo candido avvenuto a cavallo delle glaciazioni. Quasi tutti i podolici del sud Italia hanno le medesime caratteristiche: pelame bianco, mucose nere, iride e parti cheratinose molto scure. - Bianco è bello. - Bianco è mistico, e i montanari abruzzesi hanno uno spirito religioso molto profondo. - Bianco è pratico ,facilita il controllo della razza; è lo stesso colore della lana delle nostre pecore. Nella concitazione e nella confusione di un attacco di lupi un cane bianco non può essere assolutamente scambiato per un lupo, né dal pastore , né dalle pecore. - Bianco è… così ce l'hanno lasciato i nostri padri.
Carattere e comportamentoIl cane va immesso fin da cucciolo tra le pecore, e il periodo migliore è quello dello svezzamento. Deve imparare subito le norme comportamentali e le regole dell'azienda e deve imparare a scegliersi giorno per giorno il suo ruolo e ciò per tutta la sua vita. Non deve essere pauroso ,non deve essere isterico, non deve rincorrere gli agnelli e gli altri animali della fattoria ,non deve ululare, non deve lottare con i cani della propria muta in presenza delle pecore, non deve fare nulla che possa creare paura e panico , che è il guaio peggiore che possa capitare in un gregge. Il cane deve essere sicuro di se e rassicurante per gli altri; deve essere calmo, sornione; deve saper dissimulare il suo stato di tensione; in presenza delle pecore deve essere composto nei movimenti , deve muoversi con solennità; deve essere anche duro e spietato con chi non si comporta allo stesso modo. Capita spesso di vedere un adulto che punisce severamente un giovane che ha derogato alle regole. Questo non vuol dire che non debba essere allegro ed affettuoso, specialmente da giovane; la maturità fisica arriva di media dopo i due anni e mezzo. Deve osservare a lungo le pecore, deve starci in mezzo più a lungo possibile, deve dormirci insieme, deve fraternizzare con esse, deve leccare gli agnelli, deve sentire le pecore cosa propria, disposto a qualunque sacrificio per difenderle. E le pecore questo lo sentono. Ne nasce un bisogno reciproco. Questo legame si chiama rapporto mastino: "" non figlio dello stesso ventre, ma figlio dello stesso seno""; fratello di latte, inseparabile. Il cucciolo va nutrito prima possibile con latte di pecora. Nella razza non c'è assolutamente posto per soggetti che richiamino anche lontanamente il lupo: un cranio affusolato, un muso da lupo , uno sguardo lupino, un orecchio troppo dritto, un pelo corto e sfumato, un ventre eccessivamente retratto, un petto stretto, un piede allungato, un occhio gialliccio ,un collo sottile, sono tutti elementi che parimenti alle pezze possono far supporre istinti rappresentanti una minaccia all'economia pastorale e quindi non ammissibili. "" Dura lex, sed lex:"" Viene negata la possibilità di esistere. Il cane da pecore abruzzese non deve assolutamente avere tratti somatici o comportamenti somiglianti anche lontanamente a quelli del lupo. 2. Ristretto campo di azione di azione. Questo termine va inteso sia in senso stretto,cioè fisico, sia in senso lato, cioè attitudinario. A- In senso fisico. Il cane deve agire in un'area molto ristretta , limitata alla proprietà aziendale o all'area coperta dal branco di pecore al pascolo in movimento, comunque mai oltre il centinaio di metri dal gregge. Questo è molto importante; ottenere tale comportamento è stato sicuramente il lavoro più arduo e il risultato più lusinghiero nell'opera di selezione. La pecora di razza abruzzese, vissana, sopravissana, gentile, pagliarola, e in genere tutte le merino ,pascolano abbastanza raccolte e in caso di minaccia, invece di fuggire, si ammucchiano attorno a qualcosa che dia loro sicurezza, oppure al centro di ampi spazi aperti, in tal modo il loro controllo da parte dei cani o del pastore viene molto facilitato. Quando le prede sono protette , i lupi sono soliti attaccare in gruppo, con ruoli differenziati nell'azione: c'è chi provoca e distrae i cani e c'è chi aggredisce il bestiame. Un cane incauto verrebbe attirato lontano dal gregge con il risultato di lasciare le pecore in balia dei predatori e di venire sicuramente ucciso egli stesso. Il cane abruzzese ,solo o in gruppo, si stringe nella difesa addosso alle pecore cercando di evitare ad ogni costo che i lupi penetrino nel loro cerchio, intervenendo rapidamente dove maggiore è la necessità. Mai i cani, anche se in buon numero, devono lasciarsi andare alla seguita lasciando le pecore senza difesa e senza un punto di riferimento, in preda al panico. B- In senso attitudinale .Il cane abruzzese è stato creato esclusivamente per la custodia delle pecore. Se riesce a rendersi utile anche in altri campi, non ha alcuna rilevanza. E' vero che essi vengono impiegati nella guardia di proprietà o nella caccia ai lupi e ai cinghiali con ottimi risultati, sono anche in grado di stanare e uccidere le prede; mai però utilizzare per impieghi molteplici cani addetti al gregge, sono soggetti a stimoli e tentazioni che possono distrarli dal loro lavoro. La tradizione li vuole immessi al lavoro già in tenera età per essere più a lungo modellati dall'ambiente e dall'esempio degli adulti e facciano subito della vita del gregge il motivo della loro esistenza. Il cane toccatore impone alle greggi determinate direzioni di movimento con la minaccia e l'aggressione. Pretendere da un Cane abruzzese di guatare o aggredire una pecora è richiedere cosa contro natura . Non solo non può essere utilizzato come toccatore, ma rimane difficile anche farli convivere con i toccatori, proprio per contrapposizione e incompatibilità di ruoli. 3. Autonomia operativa. Il vocabolo ""Autogestione"" ha insito il concetto di raziocinio, che non ammettiamo negli animali, ma in mancanza di un termine più calzante, nel caso specifico lo usiamo per indicare la capacità che un Cane Abruzzese ha di eseguire autonomamente il lavoro di custodia del gregge con iniziative differenziate nella differenza delle circostanze, soprattutto in assenza del fattore uomo. Anzi, è riscontrato che la presenza del padrone spesso inibisce il cane. Il mondo pastorale abruzzese ha avuto da sempre due tipi di situazioni imprenditoriali molto differenti tra loro: - La grande masseria, a carattere transumante, con diverse migliaia di capi di bestiame ,dove l'organizzazione dell'azienda prevede ruoli specializzati e fissi, con personale assunto e mute di cani di numero rilevante che lavorano sempre a contatto con l'uomo , salvo nelle ore notturne, quando il bestiame è ricoverato negli stazzi. Nella grande azienda il rapporto tra cani e pecore è di uno a cento , centocinquanta. La selezione genetica e lo standard sono garantiti dal numero dei cani e dalle leggi di natura, dove la forza e l'astuzia fanno di un cane un capo , il solo con il compito e il diritto di riprodursi e trasmettere i propri geni ,il razzatore. E' chiaro che l'intervento dell'uomo nel controllo delle razza si limita alla necessaria e spietata eliminazione dei soggetti non idonei e alla immissione di sangue nuovo nelle mute ,eseguita con l'introduzione periodica e costante di femmine provenienti da altri allevamenti. Il rapporto dei cani con i pastori avventizi prezzolati e con breve permanenza nella masseria non è quasi mai ottimale, salvo rari casi; si limita alla reciproca sopportazione nel rispetto rigoroso dei ruoli. Il rapporto tra i cani è regolato da una rigida gerarchia stabilita da continue e spesso sanguinose verifiche di dominanza. Un capo non ha mai la certezza del proprio dominio sugli altri, egli deve imporla e mantenerla ogni giorno. Nella muta le baruffe sono frequenti, sia tra maschi che tra femmine, raramente però durante il lavoro. L'ambiente e la durezza del lavoro completano la selezione. Il freddo , il caldo, la fatica, le ferite, le malattie, la fame eliminano i deboli e temprano i più robusti e l'istinto di sopravvivenza ne fa campioni nell'arte di arrangiarsi, a spese di tutti , mai delle pecore. -La piccola realtà allevatrice, stanziale, familiare, necessariamente complementare e parallela ad altre attività , dove la cura del bestiame è per la gran parte del tempo affidata alle donne , ai ragazzi e soprattutto ai cani. Le bocche da sfamare non possono mai essere tali da rompere il rapporto ottimale costi-ricavi. Il numero dei cani difficilmente supera i due per ogni famiglia quasi sempre maschi e fratelli, nel caso si abbia il terzo ,è una femmina. In questa circostanza è l'uomo che massimamente incide, anzi determina la qualità dei cani e di conseguenza la razza. E' l'uomo che stabilisce gli accoppiamenti, sceglie i periodi per il parto, seleziona i cuccioli, li addestra al lavoro, li premia e li punisce, li nutre e li cura coadiuvato dagli altri cani, insieme a tutta la famiglia. Il rapporto uomo cane diventa più intenso. E' qui che il cane impara a considerare le pecore come proprietà. E' in questa realtà che l'uomo, impegnato anche in altre attività, si trova molto spesso nella necessità di affidare il gregge alla sola custodia del cane. E il cane è là , sempre vigile e sempre disponibile. Si guarda e si coccola le sue protette, e le pecore lo sanno. Capite perché tanta cura nello scegliere e allevare un cane, uno della famiglia; uno che la sera può dire a ragione ""oggi anch'io ho tirato avanti la carretta."" S'è visto più di una volta chi piangeva la morte del proprio cane. E' la vita fianco a fianco con l'uomo di montagna, duro con se stesso e con gli altri, nelle gioie e nei sacrifici, che modella il cane, lo ragguaglia e lo rende capace di agire nella custodia del gregge in sostituzione del padrone. "All'abbiata" il cane non deve mai seguire il padrone e lasciare le pecore. Il piccolo allevatore non si contenta del primo arrivato, il cucciolo se lo va a cercare dove sa di poter trovare "" robba "" di prima qualità. A questa scelta sono legate troppe cose. Si preferisce far accoppiare le cagne alla fine di novembre o i primi di dicembre: I cuccioli arrivano in febbraio, restano nella tana o nella stalla fino a marzo e poi…fuori! al sole fino al novembre successivo. L'arrivo dell'inverno li trova già robusti e forti , a dieci mesi neve e gelo gli fanno un baffo. Mai catena ficett bon cane, dice un vecchio adagio trasaccano. Un pastore in Abruzzo non tiene mai a catena il suo cane, è un segno di fiducia. E' contro le regole. La catena è per i vigliacchi, per impedir loro di fuggire davanti al pericolo. La catena è per i malfattori, per impedir loro di fare del male. La permanenza prolungata alla catena sconvolge l'equilibrio del cane e lo rende un potenziale pericolo; gli toglie la vita di gruppo; gli inibisce il senso della proprietà, la capacità di valutazione del pericolo, la possibilità di scegliere il miglior modo per affrontarlo; gli lascia solo la possibilità di abbaiare e di intristire. 4. Struttura fisica idonea per affrontare i predatori delle greggi e le condizioni dell'ambiente di vita e di lavoro. Per ritenere il cane un valido strumento di difesa contro i predatori bisogna riscontrargli qualità e mezzi tali da riuscire egli stesso motivo di timore per il ladro, il lupo o l'orso. Gli necessità perciò una struttura fisica adeguata e notevoli doti di agilità e coraggio. Un buon numero di cani riesce normalmente ad evitare tanti guai; dove non ci si può permettere il numero si supplisce con la qualità. La struttura del cane è tale da risultare non solo un deterrente per il lupo, ma anche un elemento rassicurante per le pecore. Le pecore di razze originarie dell'Abruzzo , tolta la pagliarola, più bassa, hanno un'altezza media oscillante tra i 63 e i 68 cm .Il lupo appenninico ha grosso modo la stessa altezza; qualche bel maschio arriva fino ai 70. Un buon cane deve essere sicuro, e la sicurezza gli viene dalla consapevolezza della rispondenza dei propri mezzi alla funzione; gli necessitano quel minimo di 70 cm di statura con un cinquantacinque-sessanta chili di muscoli che gli garantiscano almeno la parità con un buon lupo e gli assicurino il controllo e la fiducia delle pecore. Due o tre cm in più gli danno maggiori possibilità, ma andare oltre significa rompere un preciso e severo equilibrio di masse e risulterebbe invece penalizzante. Il lupo deve la sua sopravvivenza a cinque fattori importanti del suo modo di essere: -- Fiuto del pericolo e scaltrezza nell' evitarlo, -- Capacità di adattamento alle più dure e diverse condizioni di vita, -- Mobilità estrema, -- Agilità impressionante. -- Socialità. La realtà montana abruzzese non permette l'esistenza di grossi branchi di lupi, il loro peso inciderebbe eccessivamente sull'ecosistema causando uno squilibrio sia ambientale che economico. Raggruppamenti di quattro o cinque soggetti avviene per brevissimi periodi solo al tempo degli accoppiamenti. Di norma i lupi abruzzesi vivono solitari o a coppie; le cucciolate si separano per motivo di spazio vitale dopo il primo anno. La tecnica di aggressione del lupo è il mordi e strappa , con attacchi rapidi e continui, cercando di apportare maggior danno all'avversario e nello stesso tempo riceverne il meno possibile, restare gravemente ferito o mutilato per un selvatico è quasi sempre la morte. Solo quando la preda è completamente sfinita e non più in grado di nuocere, solo allora egli accetta il corpo a corpo. Un cane deve essere quel tanto agile da poter parare gli attacchi del lupo e quel tanto massiccio da portarlo a cercare immediatamente il corpo a corpo dove la sua mole maggiore ha più possibilità di riuscire. La forma della sua testa , del suo muso, della sua dentatura e del suo apparato respiratorio devono essere tali da permettergli, una volta afferrato l'avversario in un punto vitale,di mantenere la presa il più a lungo possibile, pena la morte. Polmoni voluminosi, narici larghe, fasce dei masseteri ampie, mascella corta e potente con dentatura proporzionata, collo quel tanto corto da permettere un buon movimento del corpo e sopportare anche notevoli pesi; tronco e groppa larghi con arti e appoggi adeguati sono strettamente necessari. Il selvatico limitato nel movimento è facile vittima dello stress e del panico e perde più facilmente del cane il controllo di se. Il lupo ha pazienza infinita ma solo nella caccia . E' anche vero che i cani hanno terrore del lupo. I due eterni nemici raramente arrivano ai ferri corti, solo la fame può costringere un lupo ad avvicinarsi ad un gregge guardato da buoni cani e correre certi rischi. La maggior parte delle volte si tratta di provocazioni e di abbaiate furiose, più rumorose che dannose, è sempre la presenza dell'uomo con il bastone o con il fucile ad avere l'ultima parola. Non mancano però racconti di fatti con esiti diversi, veri o favole, prima che arrivasse la televisione, essi riempivano tante serate della gente di montagna. "
© il portale del Pastore Abruzzese
La verde Maremma!
Un deserto di bellezza colmo di sole – anche se un velo
Sopra si distende di malinconica tristezza;
Orma d'uomo non calpesta il regno della solitudine
Il deserto in fiore risplende invano.
(Felicia Dorothea Hemans)