Il nome deriva dagli inghiottitoi di natura carsica dove furono gettati e, successivamente, rinvenuti i cadaveri di centinaia di vittime, localmente chiamati appunto "foibe". Per estensione i termini "foibe" ed il neologismo "infoibare" sono in seguito diventati sinonimi degli eccidi, che in realtà furono, in massima parte, perpetrati in modo diverso.
Dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso selvaggiamente percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell'alba, sentii uno dei nostri aguzzini dire agli altri "facciamo presto, perché si parte subito". Infatti poco dopo fummo condotti in sei, legati insieme con un unico filo di ferro, oltre a quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo i soli pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze. Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un filo di ferro, ci fu appeso alle mani legate un masso di almeno 20 k. Fummo sospinti verso l'orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, c'impose di seguirne l'esempio. Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accadde il prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il filo di ferro che teneva legata la pietra, cosicché, quando mi gettai nella foiba, il masso era rotolato lontano da me. La cavità aveva una larghezza di circa 10 m. e una profondità di 15 sino la superficie dell'acqua che stagnava sul fondo. Cadendo non toccai fondo e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia. Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole "un'altra volta li butteremo di qua, è più comodo", pronunciate da uno degli assassini. Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott'acqua schiacciandomi con la pressione dell'aria contro la roccia. Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutive, celato in una buca. Tornato nascostamente al mio paese, per tema di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di essere veramente salvo.
(dichiarazione di Radeticchio)
già già, non so dirti se nel bene o nel male, perché un evento famigerato suscita sempre tante emozioni, ma io non devo fare tanta strada per visitare una foiba chiamata il "Buso della Spaluga" in un comune qua vicino.
RispondiElimina"...dopo la resa incondizionata e la consegna delle armi del comando tedesco di stanza a Lusiana, era consentito ai militari di andarsene a piedi verso le proprie case.
Ma i patti non furono rispettati: dodici bolzanini e un sergente tedesco, con un braccio ferito e sanguinante, furono prelevati da uno scantinato a Lusiana e portati con un camion sulla Spaluga e gettati dentro uno alla volta. Non voglio riferire su elementi che fanno rabbrividire.
In precedenza, il 10 marzo 1945, Ortensia Moras, una ragazza di 21 anni, che aveva un legame affettivo con un soldato tedesco, fu prelevata da alcuni partigiani e la costrinsero a seguirli fino alla Foiba della Spaluga, La torturarono, la violentarono e poi la gettarono nella voragine ancora viva. Nel giugno del 1948 i corpi degli sfortunati furono portati in superficie..."
il mondo ha un cancro e quel cancro di chiama uomo...
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